L'ultimo enigma di Rennes

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  1. Teenar
     
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    L’ultimo enigma di Rennes


    Arrivai a Parigi sotto mezzogiorno, vincendo la mia terribile fobia per gli aerei. Dovevo fare di più, quel giorno, dovevo riuscire a rendere me stesso partecipe di quella mia tesi… almeno così aveva detto il mio insegnante, il professor Lombardi. Ma come si può divenire partecipi facendo una semplice ricerca su un pittore del seicento? Decisi di mettere da parte tutti quei dubbi che mi angosciavano, anche perché la giornata era breve e non avevo affatto tempo da perdere in simili vaneggiamenti. Nicolas Poussin. Era questo il mio scopo. Un pittore strano sotto molti punti di vista, e dire che l’avevo scelto proprio per questa mia inclinazione verso la stranezza… già, la stranezza. È che io stesso mi definisco strano.
    Visitai il museo nel pomeriggio. Avevo prenotato una camera d’albergo in pieno centro. Non male con i prezzi che corrono in giro.
    Il Louvre non era molto diverso che in fotografia. La piramide, le balconate rinascimentali, quelle scale imponenti che credo non dimenticherò tanto facilmente… insomma, tutto era perfettamente come lo avevo immaginato, né più né meno. Eppure quel palazzo nascondeva qualcosa di intrinseco e difficilmente spiegabile. Chissà perché ma celava alla vista degli occhi un fascino che solo io mi vantavo di sorprendere.
    Mettendo da parte questa visione un po’ narcisistica delle cose, vi dirò che non persi tempo. Poussin, solo lui m’interessava. Attorno a me troneggiavano le opere dei grandi maestri del passato, Giotto, Raffaello, Mantegna… perché mai non avrò scelto uno di loro per la tesi? Sarebbe stato molto più facile reperire fonti. Ebbene, certe domande me le pongo spesso ancora adesso, conscio che se l’avessi fatto molte cose non sarebbero andate come effettivamente andarono all’epoca.
    Finalmente lo trovai. Era un dipinto davvero ben strutturato, con splendidi giochi di luci e ombre, tipici del periodo Barocco. Restai a fissarlo quasi rapito, cosa che mi succede assai di rado con un dipinto.
    - Non ho fatto un viaggio a vuoto, alla fine.
    Dissi a me stesso.
    Sulla targhetta vi era la descrizione in francese e mi sforzai di coglierne il significato. Et in Arcadia Ego. Questo era il nome del dipinto e raffigurava tre individui che mostravano ad un quarto un particolare di un sarcofago nel bel mezzo di una campagna verdeggiante. Aguzzai la vista, quasi come se quei personaggi stessero convincendo anche la mia persona ad osservare ciò che indicavano ormai da secoli. Non mi sorpresi affatto a ritrovare nuovamente la dicitura nel dipinto, Et in Arcadia Ego. Chissà cosa significavano quelle parole. Da vecchi rudimenti di geografia rammentavo che l’Arcadia altro non era che una regione del Peloponneso, ma quell’iscrizione latina, così com’era strutturata, senza un verbo, non aveva alcun senso. E nell’Arcadia io; e comunque non aveva nulla a che fare in quel contesto.
    Restai soprappensiero per diverso tempo, fissando il quadro. L’indomani avrei avuto un appuntamento con un professore, fissatimi dal mio insegnante. Era lui l’esperto in materia e quasi mi sentivo uno stupido a chiedere il suo aiuto su un argomento che avrei potuto perfettamente reperire da internet. Tornai a fissare il quadro. Quelle espressioni mi colsero concedendomi qualche istante di beato intrigo.


    Il professor Caboldi era italiano, per fortuna. Non abitava a grande distanza dal mio albergo e lo raggiunsi in taxi. Viveva in un piccolo appartamento in centro nemmeno troppo grande a dir la verità. Aveva un grosso paio di baffi e degli occhi così sottili che si nascondevano sotto le sopracciglia folte.
    Gli spiegai le motivazioni della mia visita e gli parlai un po’ dell’oggetto della mia tesi.
    - Poussin, dite? Sì, forse posso aiutarla. Devo avere della documentazione in giro. Mio nonno era un pittore, sa’ ?
    - Davvero? – feci io, fingendo di essere interessato.
    - Sì, un pittore anche piuttosto famoso qui in Francia. Eh, sono anni che la mia famiglia ha lasciato l’Italia. Io sono l’unico a saper parlare ancora la lingua… mi ascoltate, giovanotto?
    - Oh – dissi, sollevando lo sguardo dalle scartoffie che occupavano la scrivania – certo.
    - Cosa guardi?
    Mi chiese, avvicinandosi.
    Io sollevai un vecchio foglio di giornale. Parlava di un prete che non avevo mai sentito nominare prima ma che doveva essere abbastanza famoso.
    - Questa è una vecchia storia – mi disse, quindi accennò una risata – che guarda caso capita a fagiolo con la nostra ricerca.
    - Che significa?
    Feci io, con aria stupida.
    - Quello nella foto si chiama Bérenger Sauniere. Mio nonno collezionava articoli di giornale, specialmente quelli che avevano qualcosa di strano.
    - Qualcosa di strano?
    - Sì – fece brusco – Sauniere viveva a Rennes le Chateau, un piccolo comune francese. Passava ore a fissare quadri ambigui, quasi bizzarri, in particolare aveva una predilezione per Poussin e per il suo Et in Arcadia Ego. Ordinò i lavori di ristrutturazione della sua cappella e improvvisamente divenne uno degli uomini più ricchi della Francia.
    - Si dedicava ad affari loschi?
    - È quello che pensano in molti, ma chissà… forse la verità è un’altra.

    Forse la verità è un’altra. Quella frase mi ronzò per la testa per tutta la serata, anche mentre stavo lì seduto al tavolo a fare le parole crociate. Qualcosa mi aveva spiegato quel professore e dopotutto non era stato tempo perso, quello, ma il mio pensiero si concentrava più sul prete che sul pittore.
    Improvvisamente mi comparve la pagina degli anagrammi. Ero un disastro in questo genere di cose. Non riuscivo mai a farne uno giusto, anche quando si trattava di anagrammare parole semplici con non più di quattro lettere. Mi ritornò alla mente quella frase: Et in Arcadia Ego. Sarà perché ho visto troppi film o letto troppi libri sull’esoterismo, ma non resistetti alla tentazione di scrivere quelle parole su un pezzo di carta.
    Et in Arcadia Ego.
    Arco et dia…
    Arcana Ego in…
    Dei ego dia…
    Niente. Non mi veniva niente di sensato. Eppure, quella volta, non mi arresi.
    I tego dei arca…
    I tego arcana dei.
    Feci per cancellare quell’ennesimo scarabocchio, ma qualcosa fermò la mia mano. I tego arcana dei. Nella lingua latina non erano poi parole così strane… dovevano significare Io celo i segreti di Dio. I segreti… quali segreti?
    Misi da parte le parole crociate ed estrassi il mio computer dalla valigia. Lo aprii sul tavolo talmente eccitato che il cenare fu l’ultimo dei miei pensieri. Feci una breve ricerca su Rennes le Chateau e confermai quanto mi aveva detto quel professore. C’era tutto, il prete, la cappella… anche Poussin.
    Mi convinsi che dovevo saperne di più.

    Nei giorni successivi maturai l’idea di recarmi in quella fantomatica cittadina francese. Partii il giorno venti sempre con il solito aereo. Stavolta dovetti andare nel sud della Francia e l’eccitazione vinse in parte la mia paura del volo.
    Cosa avrei trovato una volta lì? Quale sarebbe stato il mio scopo?
    Non mi sentivo più uno studente universitario che stava preparando una tesi… diciamo che quasi mi sembrava di essere un ricercatore.
    Giunsi lì senza preoccuparmi troppo del come e del perché. Mi orientai domandando in giro. Quel comune era davvero piccolo e non mi fu difficile trovare quella fantomatica cappella. Mi bastò domandare di Sauniere e ottenni risposte molto soddisfacenti.
    La cappella somigliava più ad una torre che ad una vera e propria chiesa ed era anche piuttosto piccola. Quella che era cominciata come una tesi di storia dell’arte si era rivelata una ricerca storiografica a tutti gli effetti.
    A sormontare quell’entrata era una strana dicitura che m’incuriosì non poco: Terribilis est locus iste. Questo è un luogo terribile. Un’iscrizione non del tutto consona per un luogo religioso come quello… ma forse mi sbagliavo. Non ebbi molte difficoltà a visitarne l’interno. La prima cosa che vidi fu un demone. Una creatura cornuta e strana sotto molteplici aspetti reggeva l’acquasantiera vuota della cappella. Tutt’intorno vi erano le diverse tappe della via crucis e una statua dedicata a Maria Maddalena, scolpita dallo stesso Sauniere. La cosa che colpì la mia attenzione fu il rosone in fondo che raffigurava l’ultima cena di Cristo… ma esattamente, cos’è che stavo cercando? Indizi? Prove? E a favore di cosa?
    Avevo letto molti testi e visto parecchi film a sostegno della tesi di una discendenza divina di Gesù Cristo. Tutte stupidaggini. Come potevano essere vere quelle supposizioni? Poi mi ricordai del sarcofago. Cosa c’entrava un sarcofago in quel dipinto nel bel mezzo della campagna francese?
    Feci il segno della croce ed uscii di tutta fretta.
    Quel paesaggio ameno sembrò rincuorarmi. Apprezzavo la vita mondana molto più di quella cittadina. Gli abitanti, poi, sembravano tutti cortesi. Nei pressi di Rennes si estendeva nella sua interezza la sconfinata campagna francese. Nell’osservarla mi sembrò quasi catapultarmi nel dipinto che tanto avevo osservato al Louvre. Camminai così a lungo che m’inoltrai in quelle terre senza nemmeno accorgermi di nulla. Ciò che colpì la mia attenzione fu il fatto che non sembravano affatto semplici appezzamenti contadini, ma luoghi dove nessuno vi aveva mai messo piede da tempo immemorabile.
    Dovevo tornare, si era fatto tardi, ma qualcosa mi costringeva ad andare oltre, finché lo vidi. Era lì, quasi nascosto dalle felci. Non potevo essermi sbagliato, no. Era il sarcofago. Mi avvicinai con cautela. Le mani mi tremavano dall’emozione. Avevo anche visto qualche foto su internet eppure mi faceva uno strano effetto, lo sfiorai delicatamente… c’era! La scritta c’era! Et in Arcadia Ego. Mi fermai qualche istante, mi allungai verso il coperchio. Sembrava intatto chissà da quanti anni a quella parte. Poi si mosse. Scivolò delicatamente tra il palmo della mia mano e i fianchi del sarcofago, finché si poté scorgere l’interno. Era vuoto, eppure presentava delle crepe. Restai a fissarlo per qualche minuto, poi mi smossi. Cercai di riprendere fiato e con mio immenso stupore, quella lastra si spostò di qualche centimetro. Restai immobile, quindi mi decisi e diedi una spinta, forte. Dopo breve si rivelò un passaggio, un passaggio sotterraneo! Non avevo mai provato un’emozione simile! Mi accostai con cautela. L’apertura era abbastanza grande da permettermi di passare. Sembrava stesse aspettandomi. Io celo i segreti di Dio. Quella frase continuò a ronzarmi per la testa per tutta la durata della discesa. Il passaggio si ingrandiva sempre più e in maniera lenta. Mi trovavo sotto la campagna francese e stentavo a crederlo. L’interno era buio, ma non abbastanza da impedirmi una visuale soffusa. Mi ritrovai in quella che potrebbe essere definita a tutti gli effetti una cripta e anche piuttosto piccola, ma non c’era alcuna tomba, né iscrizione. Vi trovai solo delle scartoffie ingiallite e intrise di polvere. Ne lessi una nella penombra. Era scritta in latino, ma riuscii a comprenderne il significato che suonava all’incirca così:

    Anno domini 1307
    I Cavalieri del Tempio hanno tratto in salvo i segreti dell’umanità. La Madre di tutti è salva, le sue spoglie riposano in pace. Per ordine di sua maestà Filippo di Francia i miei consanguinei stanno morendo. Che il Signore Iddio mi assista. Parto, verso le terre d’oltremare, lì dove nessuno potrà cercarmi. Sono terre ostili, perdute oltre i limiti del mondo. Solo Dio sa della loro esistenza. Morirò lontano dai dolori e dalle passioni, mi spegnerò come un martire afflitto ma la Madre sarà con me e con Ella la sua discendenza. Io porto lontano il segreto di Cristo salvatore degli uomini.. Io salvo la Santa Romana Chiesa. Se il Priorato leggerà queste mie parole, che non mi faccia morire invano. I tego arcana dei.

    E allora capii.
    Compresi che non tutto era andato perduto, che la Madre della discendenza divina era stata tratta in salvo, che non tutti i Cavalieri del Tempio erano stati sterminati, non se qualcuno era sopravvissuto per proteggere il segreto di Cristo. Allora compresi ciò che aveva arricchito Sauniere e perché avesse tentato di celarlo nel luogo remoto ove mi trovavo allora. Davvero era riuscito a far tremare le fondamenta della Chiesa. Compresi il significato di quella scritta, lì, sulla cappella, e approvai. Questo è un luogo terribile.



    Se possibile vorrei inserire anche questa frase in calce o all’inizio del racconto:

    Questo racconto è un’opera di fantasia basato su elementi tratti da libri e film di genere esoterico. Qualsiasi riferimento a nomi e oggetti realmente esistenti o esistiti è puramente casuale. Sono reali solo la figura di Bérenger Sauniere, del pittore Nicolas Poussin, della sua opera, e i luoghi citati come Rennes Le Chateau e il museo del Louvre.
    Tutte le informazioni riguardo ai codici esoterici presenti nel racconto non sono di pura invenzione dell’autore, ma reperite da altre fonti dello stesso genere.

    Edited by sattva - 30/11/2008, 18:38
     
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  2. Natoblomov
     
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    Sto racconto mi fa pensare a Il Codice Da Vinci...
     
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  3. emma onofri
     
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    Anche a me fa pensare al Codice Da Vinci......(libro che tra l'altro non mi è piaciuto....)
    Sono andata a ricercare il quadro di Poussin.....lo conoscevo già ma a scuola quando si studia storia dell'arte tutte le informazioni "esoteriche" le tralasciano.....chissà perchè.....
     
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  4. mpblack
     
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    Un racconto che riprende senz'altro il Codice Da Vinci... forse c'è bisogno di qualche piccolo "snellimento" nella forma, ma è scritto bene! Complimenti! :P ;)
     
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  5. Taurus77
     
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    Il racconto in sé mi è piaciuto, è scritto abbastanza bene, ma suggerirei all'autore di lanciarsi in qualcosa di più originale. Come hanno detto anche altri, ho trovato troppe similitudini col Codice Da Vinci, addirittura il fatto che gli indizi sono nascosti in un anagramma... non c'era un modo più originale per dire la stessa cosa?
    Anche la frase in calce al racconto sembra quella di Dan Brown prima dell'inizio del romanzo...
     
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  6. oltrelenubi
     
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    Un saluto a tutti!
    Ho scoperto questo forum per caso e ho votato nel sondaggio. A me il racconto è piaciuto e personalmente apprezzo questo genere. Per quanto riguarda la frase in calce, però, mi permetto di dissentire con quanto detto da Taurus77. Si tratta di una frase tipo che riportano i libri quando la storia non è di pura invenzione dell'autore. In questo caso si dice che è stata estrapolata da romanzi e film di genere esoterico. Essendo lo stesso genere di Dan Brown, credo sia normale che la frase in calce sia la stessa, no?
     
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  7. Natoblomov
     
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    Sì, ma inserita in un contesto simile, in una storia simile... Boh, mi sembra una rielaborazione, più che un racconto originale.
     
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  8. .ultimo08
     
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    Beh, indubbiamente scritto bene ma nulla, ahimè, di originale. Sono un po' perplessa per lo stile adottato. Sembrerebbe colloquiale ma, a volte, c'è l'intramezzo di qualche parola "sofisticata" che stona con il resto... Rivedendolo potrebbe, comunque, un buon racconto.
     
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  9. DAscanifederica
     
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    Rgazzi, scusate... Il commento sopra è il mio... Non mi sono resa conto di scrivere col nick del mio ragazzo (mannaggia a forumfree e ai cookie!!!) Sorry!
     
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8 replies since 30/11/2008, 18:29   192 views
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