Le Massaie

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  1. Teenar
     
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    LE MASSAIE

    Facciamo un piccolo sforzo ed immaginiamoci questa scena, di cui appositamente ometto i particolari ininfluenti ai fini della mia argomentazione: ci troviamo in un grande capannone, dove possiamo immediatamente osservare montagne di sacchi di farina, botti d’acqua, scatole di sale e lievito. Sedute al loro posto, in posizioni da combattimento, si trovano uno stuolo di massaie, ciascuna con un posto assegnatole (da un misterioso padrone) comprensivo di bacinella, tagliere, forno forchette coltelli e quant’altro le sia necessario per preparare del pane, tranne gli ingredienti di cui sopra, ammassati in un angolo del capanno ed a disposizione di tutte loro.
    Le massaie sono completamente all’oscuro della ragione per cui sono state messe lì, ad imbiancarsi di farina per cucinare delle pagnotte il cui futuro utilizzo ignorano, la cui stessa funzione – la funzione di qualsiasi cibo, ossia dare sostentamento agli esseri viventi – fanno fatica a comprendere; perdonate la crudezza delle mie immagini, ma sono impossibilitato a tacere quest’ultima, grave lacuna delle donne: esse non hanno nemmeno una perfetta conoscenza della ricetta stessa del pane, ma devono fare affidamento alla loro memoria collettiva di massaie, ad una sorta di atavico insegnamento impartito loro dalla Massaia Archetipica che regola in modo quasi istintivo i loro gesti e movimenti.
    Dall’altra parte dello specchio, come facilmente prevedibile, abbiamo uno sparuto gruppetto di esaminatori che valutano la quantità e la qualità del pane prodotto dalle donne, assegnando un voto a ciascuna di esse. La prima classificata riceverà, a fine giornata, un certo salario, la seconda un salario un po’ più basso, poi la terza e così via (ma le massaie – sia bene ribadirlo – non sono al corrente neanche di questo: hanno solo una vaga percezione del fatto di essere in concorrenza fra loro).
    Ho detto prima, ma temo che la frase sia scivolata via senza ricevere dall’uditorio la dovuta attenzione, che gli esaminatori soppesano sia la quantità sia la qualità del pane, ed il giudizio complessivo riflette una proporzione armonica fra le due variabili. Abbiamo ora tutti i dati che ci occorrono, si dia inizio al gioco.
    Facciamo un secondo, piccolo sforzo immaginativo e proviamo a figurarci in mente che cosa succederà al primo rintocco di campana: le massaie, macchine programmate per cucinare, si avviano sui sacchi di farina, sul lievito, sul sale, poi ritornano ai loro posti e si mettono a lavorare. Chi vincerà la competizione? Non essendo le materie prime infinite, l’attività presto o tardi arriverà ad una conclusione, e la massaia che sarà riuscita ad agguantare più farina sarà anche quella che avrà sfornato più pagnotte. Ma più pagnotte implicano inevitabilmente meno tempo a disposizione per la lavorazione di ciascuna di esse, per cui la loro qualità sarà minore di quella del pane altrui. E viceversa: una massaia che, per scelta o per necessità, si sia trovata a disporre di risicate quantità di materie prime, avrà concentrato tutta la sua energia in poco spazio, realizzando un prodotto eccellente dal punto di vista qualitativo, ma di modesta entità. La probabile vincitrice sarà colei che verosimilmente riuscirà ad ottenere una buona miscela fra i due casi estremi ma – è questo il punto essenziale – loro sono ignare di tutto, perfino di essere in competizione. E non sapendo niente, le casalinghe vanno avanti solo per istinto, non hanno idea del come e del perché siano finite lì, nulla. La competizione si gioca, dunque, esclusivamente su un livello CASUALE: la vincitrice, l’ultima, e tutte le altre massaie non si troveranno in quella specifica posizione di classifica per qualche loro merito o demerito particolare, ma esclusivamente in virtù del caso. Un’analogia sufficientemente vera (se mi è permessa una digressione a scatole cinesi) potrebbe essere una competizione fra dieci programmi di scacchi, ciascuno di essi con istruzioni dategli a caso (ad esempio: “se il tuo
    avversario muove in avanti un pedone, tu retrocedi il primo pezzo da sinistra che è in condizone di tornare indietro”). Il vincitore sarebbe debitore, di conseguenza, solo e senz’altro alla sua buona sorte.
    Spieghiamo ora perché poc’anzi si è parlato di scatole cinesi: anche la scena di partenza è un’analogia, introdotta per illustrare una delle teorie più geniali mai regalate all’umanità: la selezione naturale. Le massaie sono gli esseri viventi, farina e lievito sono le risorse comuni, il capannone è la Terra.
    Fino alla comparsa di Darwin tutte le specie animali e vegetali (uomo incluso) vivevano nelle medesime condizioni di ignoranza che ottundevano la mente delle nostre massaie fittizie. Istinto, quante volte abbiamo dovuto ricorrere all’uso di questo vocabolo per spiegare comportamenti animali di rara precisione e complessità; quale aura di vago mistero suscitava in noi, istinto, di cui i sinonimi forniti dal vocabolario (impulso, inclinazione, tendenza, indole) si oppongono così pervicacemente al mistico significato originario del termine che è quasi un delitto utilizzarli.
    Poi si fece luce. Improvvisamente i meccanismi dell’orologio furono svelati, l’uomo si innalzò ancora una volta sopra l’animale – l’ennesimo gradino di una scalata apparentemente inarrestabile – e diede uno sguardo agli ingranaggi della portentosa macchina della vita, comprendendo il modo in cui funziona. La scoperta del DNA, altro tassello fondamentale, non ha fatto che rafforzare la convinzione di essere sulla retta via, ma ciò che conta davvero è l’aver capito, finalmente, il modo in cui le specie evolvono. Non possiamo certo considerarci arrivati alla conclusione del viaggio, anzi, ancora più stimolante – ma oggi, alle soglie del 2008, quasi impossibile da ipotizzare – sarà la comprensione, oltre il come, del perché gli esseri viventi sono tutti indirizzati, senza eccezioni, verso la meta comune della propagazione dei propri geni; bisognerà svelare, in parole povere, il Fine Ultimo, ossia verso quale comune obiettivo tende l’universo.
    «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non lo udirono» (Luca 10, 23-24). Il Vangelo è ricolmo di frasi di questo tipo, il cui significato complessivo è sostanzialmente riassumibile in: “Tutti coloro che sono vissuti prima di Gesù sono parzialmente giustificabili per i loro peccati, in quanto non hanno conosciuto il vero Dio; ma dalla nascita di Cristo in poi ogni sbaglio dell’uomo sarà pagato più duramente, dato che la possibilità di adorare l’Unico Signore non è più preclusa a nessuno”. Il non detto, ma facilmente deducibile, è che dall’anno 1 d.C. noi uomini abbiamo anche molta più probabilità di finire in Paradiso di quanta non ne avessero i nostri predecessori: più oneri, giustamente controbilanciati da un numero maggiore di onori.
    Lo stesso, in differente contesto (ma quanto blasfemo – e, dalla mia prospettiva, spassoso – può apparire un paragone fra Cristo e Darwin, dopo che generazioni di cattolici si sono disperatamente opposte all’idea evoluzionista!), è accaduto nel 1859, anno zero della teoria della selezione naturale, che ci ha aperto nuovamente le porte della conoscenza. Con rispettiva moltiplicazione esponenziale delle nostre responsabilità.
    L’osservazione della natura ci insegna che, nella competizione animale, il più debole è irrimediabilmente perduto. Dovremmo dunque comportarci allo stesso modo con i nostri simili, sfruttandone le debolezze a nostro vantaggio, appellandoci ad un’effimera nozione di diritto “naturale”? Se così fosse, bisognerebbe considerare moralmente neutri anche il furto, l’omicidio e lo stupro, pratiche comunemente accettate nel mondo animale.
    Ma così non è, e non è mai stato dagli albori della storia dell’Homo Sapiens, ma solo oggi possiamo finalmente fornire alla morale un supporto biologico, possiamo creare – grazie alla teoria dei giochi – dei modelli matematico-evoluzionistici in cui viene formalmente dimostrato che la cooperazione produce risultati migliori della competizione, anche per il singolo individuo, e che se una massaia si accaparra tutta la farina, ed un’altra tutto il lievito, una generosa donazione, da parte di entrambe, di un po’ delle loro risorse, avrà un effetto
    benefico sulla produzione di pane dell’una e dell’altra; possiamo vedere più in là del nostro naso, comprendendo che l’eccessiva noncuranza ambientale di oggi sarà pagata ad un prezzo eccessivamente alto domani, dai nipoti dei nostri nipoti, custodi dei nostri stessi geni; possiamo, dunque, lavorare tutti insieme non per qualche vago ideale di solidarietà umana, ma perché abbiamo infine dimostrato che, questa scelta, è la scelta ottimale per ciascuno di noi.
     
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    Un bel saggio ma... uh... che ci fa qui un saggio? ^_^;
     
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  3. ELIPIOVEX
     
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    ho perso un po' di passaggi, ma la teoria esposta può essere condivisibile.
     
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  4. lion085
     
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    Complimenti per l'esposizione, ma questo non era un concorso solo per racconti? Comunque, trattandosi di qualcosa scritto, usando l'arte dello scrivere, ben ci sta anche questo. ;)
     
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3 replies since 30/11/2008, 18:30   99 views
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