Influenza aviaria

una storia woodoo

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  1. Teenar
     
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    Influenza aviaria (una storia woodoo)

    Ho riso molto.
    Quando ho sentito il tg parlare di questa temutissima “influenza aviaria”, prima ho cominciato a ridere... così... normalmente. Poi la situazione è degenerata, il riso s’è fatto isterico, mi son piegato in due dal dolore allo stomaco provocato dalle mie stesse risa. Infine ho vomitato.
    L’influenza aviaria... sì! Come no! Te la do io l’influenza aviaria!
    Scusate... ma la vera influenza aviaria la conosco solo io, e – purtroppo - non si muore. Sì, io l’influenza aviaria... l’influenza di una gallina… l’ho subìta davvero, ed è molto meno divertente che morire per qualche virus malefico. Mi spiego meglio.
    Era l’aprile del 1892 (e sì, è passato un bel po’ di tempo, eh?)... a quell’epoca ero un ricco possidente terriero, quello che oggi chiamerebbero “fancazzista”, visto che il lavoro mi era sconosciuto: guardavo semplicemente crescere i miei investimenti. Quell’aprile lo passai a Raltos, una minuscola isola caraibica che possedevo interamente. Mentre mi maledicevo per aver pensato di passare una stagione così capricciosa ai Caraibi, bussarono alla porta del mio studio. Lasciai perdere gli schianti d'acqua piovana che s’abbattevano sulla mia finestra e mi girai verso la porta: «Avanti!» concessi col mio solito tono possente.
    Entrò la cuoca, ma neanche me ne accorsi: dietro di lei una ragazzina dagli occhi di fuoco cercava di nascondersi dietro l’enorme donnone nero che fungeva da cuoca. Era bellissima, seppur vestita indecentemente con qualche straccio e i capelli sporchi e irti come rami secchi.
    «Scusi, senior...» mi disse la cuoca «...questa è la mia nipotina, volevo chiedere se poteva darmi una mano in cucina...è svelta e silenziosa...».
    La ragazzina mi fissò un attimo i suoi occhi neri addosso, e li riabbassò immediatamente.
    «Dovrei valutare...» risposi con un’imbarazzante raschio in gola «...lasciaci soli, devo parlare con lei» conclusi, ritrovando la voce da padrone.
    Il donnone indietreggiò fino a varcare la soglia e mentre richiudeva la porta un dubbio la colse e si fermò con la maniglia in mano.
    «Be’?» chiesi infastidito.
    «Niente senior...» si scusò la cuoca «...è che non parla la vostra lingua».
    «Sciocchezze!» la liquidai «...ci capiremo!».
    Il donnone si arrese, e richiudendo la porta sussurrò: «...è solo una bambina».
    Ma io già non l’ascoltavo.
    Mi accomodai sulla poltrona dietro la scrivania, e l’invitai a sedere su quella davanti.
    La piccola esitò. Glielo ordinai a gesti, e la piccola eseguì.
    La vestina lurida lasciava intravedere bellissime gambe, esili ma forti e seni minuscoli ma già prepotenti.
    Appena mi alzai i suoi occhi si accesero d’odio, ma non fece in tempo a scappare: la presi e la scaraventai sul divano lì vicino. Ma accidentalmente batté la tempia sinistra sul bracciolo del divano, una testa di cane in ferro. Sembrava morta, ma appena mi avvicinai per vedere cos’era successo, si rialzò, diede un urlo disumano e si riaccasciò per terra: adesso era morta davvero, niente respiro, niente battito.
    La porta alle mie spalle si spalancò; la cuoca, con un viso orribilmente trasfigurato, sgranò gli occhi: «Uomo! Che hai fatto?». Cercai di giustificarmi: «È stato un incidente... è caduta su uno spigolo!».
    Poi cercai di riprendermi e dissi, col solito tono di comando: «Il dottore... chiama subito un dottore...».
    «Non serve...» disse il donnone nero, e la prese tra le braccia.
    «È solo una bambina...» ripeté, come continuando il discorso precedente. Ma non proseguì. Uscì con la bambina tra le braccia.
    Restai di malumore per tutto il pomeriggio, ma comunque nessuno si presentò più alla mia porta, nessuno venne ad accusarmi. Ma pensavo che l’indomani sicuramente la negra sarebbe venuta a chiedere dei soldi per quell’incidente: l’avrei licenziata.
    Dopo cena (un’ottima cena, a dire il vero) mi ritirai soddisfatto nella mia stanza, dove mi accolse una graditissima sorpresa: la nipotina della cuoca guardava il temporale da dietro i vetri. Fui lievemente sollevato: niente grane per la mattinata seguente, la ragazzina non era morta. Mi schiarii la voce e lei si voltò. I suoi occhi erano d’un fuoco inebriante; pur sapendo di star per ripetere lo stesso abominio del pomeriggio, mi avvicinai, gonfio di desiderio. Questa volta la ragazzina non lottò. Anzi, come mi avvicinai fece scivolare le spalline del lurido vestitino e si mostrò nuda, in tutta la sua fresca sensualità. “La vecchia deve averle spiegato come comportarsi, finalmente!” ghignai.
    Fu una notte indimenticabile. Contrariamente alle mie aspettative, non mi stancai al primo rapporto. La sua carica erotica e la sua incredibile sensualità, davvero strane per la sua giovane età, mi tennero in estasi per tutta la notte. Solo al primo chiarore dell’alba mi addormentai pesantemente.
    Ebbi un incubo: sognai la cuoca che chiudeva la porta del mio studio, piangendo lacrime di sangue. Ripeteva: «È solo una bambina...».
    Mi svegliai, più infastidito che spaventato da quel sogno che mi aveva rovinato un sonno paradisiaco, dopo la notte d’amore più intensa della mia vita.
    Allungai una mano, ma invece di sentire sotto la mia mano il calore delle sue gambe sode, una poltiglia gelatinosa mi sporcò le dita.
    Diedi un urlò.
    Affianco a me “giaceva” una gallina sgozzata; tutto il letto era impiastricciato di sangue e liquidi organici di ogni tipo. Cercai di pulirmi in qualche modo, ma con le mani sporche ottenevo il risultato contrario: cominciai ad urlare in preda a una crisi isterica. Ci vollero una decina di servi per calmarmi e lavarmi. Tutti agivano nella più assoluta tranquillità, come se fosse una cosa normale, abituale. Quando finalmente la pulizia e un caldo infuso mi avevano quasi completamente tranquillizzato udii una voce. Ma non c’era nessuno, era una voce nella mia testa: «Vieni!» ordinava.
    Non sapevo dove e soprattutto non sapevo perché, ma ubbidii: m’incamminai nella piccola foresta, fino a una capanna di canne e fango. Entrai.
    Quella che una volta doveva esser stata la mia cuoca era vestita in uno strano modo, tipo i selvaggi africani; aveva gli occhi quasi fuori dalle orbite, era seduta su una specie di trono e teneva per il collo una gallina. Alla sua destra la ragazzina sorrideva.
    Senza dire una parola la donna prese un coltello e sgozzò la gallina; incredibilmente, privo di ogni volontà, mi avvicinai a bere il sangue che schizzava dal collo.
    La ragazzina rise oscenamente: «È proprio un animale!» concluse.
    Quando mi staccai dal collo della gallina, il donnone nero mi puntò il dito indice contro: «Nessuno ti ha concesso il potere di togliere la vita. Lo hai fatto lo stesso, ma io che ho il Potere ricompongo il quadro sfregiato: lei vivrà...» disse indicando la ragazzina.
    «Non ti odio...» continuò «...ma devo pegno al Morto, per avermi ridato lei. Ha chiesto uno schiavo... e glielo darò». Fece una breve pausa.
    «Tu obbedirai agli ordini del Morto, finché il Morto si stancherà di te. Ammesso che si stanchi».

    E questo é tutto quello che successe quel maledetto aprile, nell’anno del Diavolo 1892.
    Oggi, a distanza di 114 anni, il Morto... che in pratica si manifesta con una voce che non posso ignorare e mi toglie volontà, non si è ancora stancato di me; e io vivo questa maledetta eternità, un inferno che non si può spiegare, né capire, condannato a vagare senza volontà in un mondo che non riconosco più e non mi riconosce.
    Solo nei rari momenti in cui il Morto mi lascia volontà, mi ritrovo a sperare.
    Come adesso... che spero che il Morto si stanchi, prima o poi, della mia piccola, insignificante e sporca persona: spero che mi lasci morire.
    Ma ora vi saluto: devo andare, il Morto mi sta chiamando.




     
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  2. mpblack
     
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    Stile spigliato, divertente....corretto!!! Mi è piaciuto. ;)
     
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  3. ELIPIOVEX
     
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    La pena eterna per chi tocca i bambini, credo sia ancora poco.
     
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  4. Taurus77
     
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    Una storia interessante, scritta molto bene. E' difficile scrivere dalla parte del "cattivo", soprattutto quando si macchia di crimini come questi... Mi è piaciuto!
     
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  5. lion085
     
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    Un bellissimo racconto, scritto usando bene la penna. Complimenti all'autore/trice.
     
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4 replies since 30/11/2008, 18:36   117 views
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