Senza coscienza

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  1. Teenar
     
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    Senza Coscienza

    Il gran consiglio approvò la delibera.
    Nubi scure accumularono energia per scaricare in un punto della terra la megera Om. Il Consiglio delle streghe stabilì l’esatta ubicazione del lancio. Una quantità d’elettricità lampeggiò e tuonò nel cielo. Om accettò di buon grado di andare sulla Terra per inserirsi in un essere mortale. Avrebbe fomentato discordie e si sarebbe divertita giocando con le mediocri menti umane. Il suo potere avrebbe reso schiavi gli uomini.
    Om fu sparata nel ventre di una madre che si contorceva per gli atroci dolori di parto. La neo-mamma era tutta congestionata in viso. Sentì qualcosa di rovente bruciarle le viscere e un panico di paura l’assalì. Om fluttuò nell’utero della partoriente, roteò le sue mani ledendo tutte le parti interne della donna che spirò dandola alla luce.
    Prima vittima.
    Il potere...eh, eh, eh!
    Il cielo si squarciò irradiando strisce colorate. Un fulmine… il blackout…
    Nella sala parto nessuno vedeva la neonata. Sentivano il suo pianto. Infermieri e medici si scontravano nel corridoio. Le luci d'emergenza non funzionavano. Un infermiere trovò una torcia, la accese e seguì il pianto della piccola che sembrava una risata stridula e cattiva. Le illuminò il viso. Una luce fatua attraversava le sue iridi. Lui indietreggiò istintivamente andando a sbattere la schiena contro il muro. Due medici e altri infermieri si affacciarono dalla porta. La madre col viso piegato giaceva in un lago di sangue che sgorgava a fiotti allagando la sala parto. Un’infermiera con gli occhi sbarrati tremava. Per un periodo che sembrò interminabile, nessuno fiatò. Una risata sinistra li attirò verso la bimba. La neonata appariva serena, rosa e bellissima. Era sdraiata sul grembo della madre morta. E quella risata maligna?
    La luce elettrica riprese a funzionare. L’infermiere spense la torcia.
    Un chirurgo entrò nella sala e per poco non finì sulla grossa macchia di sangue. “Oh!” Una gamba gli rimase a mezz’aria.
    L’ostetrica prese la bambina tra le braccia, come a volerla difendere da… da che cosa? e corse via. Vide Dario, il padre della bambina, uscire dall’ascensore. Presa dal panico s’infilò nell’infermeria e chiese aiuto al personale. Non riusciva a raccontare l’accaduto.
    “Mancava la luce...” farfugliò. Si sentiva in una gora di colpa.
    Dopo l’autopsia: “Un caso su un milione… accade che un’emorragia interna devasti gli organi vitali della partoriente. Non ci sono statistiche, dimostrare... le leggi...”
    Bla, bla, bla…
    I medici e gli infermieri pur rifiutando con la ragione congetture arcane, restarono dubbiosi. Il ricordo delle risa e la luce sinistra negli occhi della bambina li lasciavano perplessi.
    Dario chiamò la figlia Elsa e si prodigò che non le mancasse nulla.
    Una sfilza di bambinaie si succedettero. Ada, la prima, ruzzolò dalle scale e si ruppe l’osso del collo. Alla seconda di nome Rebecca andò di traverso un osso di pollo. La terza, Miriam, prese la scossa elettrica stirando. La successiva, Mimma, ebbe un infarto.
    L’ultima, Lydia, un sabato pomeriggio splendido e soleggiato, decise di fare una lunga nuotata in piscina.
    “Prendiamo il costume, piccola.” Le intimò.
    La bimba con solerzia corse a prenderlo.
    Sono la cocca di papà e t’accontento.
    Elsa fu la prima a immergersi nella piscina dove l’acqua cominciò, per suo volere, a gorgogliare dal fondo. Il motore della pompa cominciò a rombare. Nella sua fonte (il suo Sé), Elsa radunò tutte le forze del male. Tese le piccole braccia fuori dall’acqua mentre la bambinaia poggiava il piede sullo


    scalino di marmo. Lydia barcollò, sbattendo la testa sulla pedana. Elsa rise nel vedere il suo corpo andare nel fondo, risucchiato dallo scarico.
    Nessuno può competere con me.
    Lo spirito domina la materia. Anche gli uomini potrebbero sperimentarlo, ma sono presi dalle loro stupide occupazioni giornaliere.
    Io sono Elsa e manovro le menti umane.
    Il mio potere essenziale!
    Liana era l’amica di suo padre. La loro relazione era tranquilla. Elsa, ormai adolescente, fingeva di volerle bene. Accettava i suoi regali e la sbaciucchiava. Le raccontava la sua vita privata condendola con esagerati particolari piccanti. Voleva esserle simpatica. Voleva che pensasse che lei l’adorava.
    Energia d’amore, pazza.
    Dario era contento. Alla festa del diciottesimo compleanno della figlia avrebbe comunicato a parenti e amici il suo prossimo matrimonio.
    “Contenta?”
    “Oh certo…” Elsa si girò di scatto movendo le sue iridi con una velocità impressionante. Voleva essere certa che Liana non li udisse. “Sei sicuro di lei?” una siringa di veleno. Voleva che il padre avesse dei dubbi sulla fedeltà della promessa sposa. Il divertimento iniziava.
    “Cosa dici?” Nei suoi occhi c’era incredulità. Ha forse il sospetto che... sta dicendo... Immediatamente un forte dolore prese a logorarlo.
    La figlia fece spallucce continuando a sorseggiare il caffè. Gli occhi fissi sul tavolo della cucina intendevano comunicargli che c’erano gravi cose da scoprire e lei non poteva... non voleva parlare….
    “Tu sai qualcosa...”
    “Io? Lo dicevo... non so… Liana è così carina, buona, ingenua, non so perché… E’ così buffo... alle volte si dicono delle cose… Papà, io non capisco perché... non penso nulla. Scusa. Stai tranquillo. Sono certa che nei giorni in cui non vai da lei...” Lasciò la frase ad arte in sospeso.
    Dario cominciò a domandarsi, cosa facesse nei giorni in cui non stava con lui. Dubbi emergevano, si alzavano, dondolavano…
    La sofferenza fisica, spirituale iniziò ad avvamparlo, ossessionarlo. Da quel giorno, quando si vedevano, le urlava frasi senza senso.
    I loro incontri cominciavano con un interrogatorio e finivano sbraitandosi a vicenda frasi condite al cianuro.
    Un giorno: “Dove sei stata ieri sera?”
    “Sono uscita con Tonia.”
    “E non hai incontrato nessuno?”
    “Cosa intendi dire? “
    “Niente.” Agitò le mani. “Eravate solo voi due o c’era anche qualche amico…”
    “Sai bene che poi ci siamo incontrate col suo ragazzo, lo sapevi, no?” In effetti, Ivano, il ragazzo di Tonia, era arrivato con un paio di amici. Ma confidargli che c’erano altri uomini, significava metterlo ancor più in agitazione. Le ripugnava mentire, ma supponeva non avesse scelte. Da un po’ di tempo aveva paura di lui. Nelle ultime settimane l’aveva picchiata lasciandole dei lividi sulle braccia. Liana cominciò a mancare agli appuntamenti. All’ultimo momento, gli telefonava: una bugia.
    Dario iniziò a seguirla dappertutto. Era diventato l'incubo di Liana. Essa si convinse che una ‘ossessione’ (Dario) non si poteva proprio sposare. Prese la decisione di lasciarlo. Doveva trovare il modo di dirglielo. Quell’uomo era divenuto un pazzo scatenato. Ogni colloquio finiva con un violento litigio. Aveva smesso di vederlo in casa. Per due volte consecutive si era dovuta barricare


    in bagno. Da lì aveva chiamato la polizia, ritrattando in seguito la denuncia. Adesso doveva dirgli chiaro e tondo: basta.
    “E’ evidente che non possiamo formare una famiglia su basi traballanti. Lo capisci bene anche tu, Dario. Non vediamoci più. Non siamo fatti per stare insieme. “ Il tono era rassicurante e calmo. Non aveva nessuna intenzione di aggredirlo. Il telefono le risparmiava la visione della tensione di Dario. Non vedeva il suo viso stanco, pallido, i suoi occhi cerchiati, infossati, accesi d’ira e di odio vagare per la stanza.
    “Dopo tanti anni, mi vuoi lasciare. Chi è lui?” La sua voce: un soffio rauco e angosciante.
    “Non c’è nessun lui, credimi.” Scandì le parole.
    “Non ti libererai di me.” Dalla gola uscì un gracidio secco e sinistro.
    Il grande amore svaniva. Una cascata di ghiaccio lo immobilizzò. Si appoggiò allo schienale della poltrona in stato di stupefazione. La Sconfitta gli cadde sulla testa come una valanga che lo spingeva sempre più giù.
    La stanchezza lo travolse e si addormentò.
    Elsa gli concesse un po’ di riposo.
    Un po’ di relax al condannato a morte.
    Liana voleva fuggire e già con la mente era in cantina per prendere le valigie. L’ascensore sembrava non arrivare mai a destinazione. Le labbra tremanti e la fronte solcata da profonde rughe denotavano il suo stato ansioso.
    Dopo aver riagganciato il telefono, la voce di Dario le sembrò continuasse a vibrare minacciosa nell’aria. Sensazioni negative s’impadronirono di lei. Cominciò a camminare sbigottita per la stanza. Era in stato confusionale, quando le parve di sentire le mani di lui stringerle le braccia. Lanciò un urlo terrificante che sorprese lei stessa. Si alzò le maniche della camicetta e sconcertata vide alcuni lividi sulle braccia. Al tatto, dolevano. Ma come era possibile che fosse accaduto, non capiva. La rappresaglia di Dario sconfinava il muro della realtà? Forse era appiattito nella stanza. Impossibile. Cercò, nondimeno, in tutti gli angoli della casa. Dario non c’era e non ci poteva essere.
    Sarebbe fuggita lontano. Avrebbe preparato subito la valigia.
    L’ascensore, dopo un breve sussulto, si fermò. Uscì, guardandosi le spalle. Sentiva le mani di Dario addosso. Sbatté su un pilastro di cemento armato perdendo i sensi per qualche istante. Il dolore lancinante scemò e tutta la sua smania svanì come per incanto. Restò immobile e insensibile pure a qualche insetto che le camminò accanto. Annegò il suo malessere dentro quel tempo di relax forzato. Nel riprendersi, provò un dolore pulsante alla tempia. Sanguinava copiosa. Avrebbe voluto piangere, ma il terrore le bloccò le lacrime. Barcollante si diresse verso la cantina. Prese la valigia più grande e ritornò in ascensore. Con il foulard che aveva al collo, si tamponò la ferita. Lo specchio piccolo e opaco dell'ascensore rifletté un viso sconvolto e invecchiato. Quasi, non si riconobbe. Rimase assorta per interminabili secondi a guardare la sua immagine. Il bip dell'ascensore la scosse e uscì frastornata. Le chiavi di casa scivolarono sul pianerottolo. Con le mani tremanti le prese, aprì la porta ed entrò.
    Passi felpati s’ingigantirono spropositati. Alle sue spalle suoni e stridii iniziarono in sordina per alzarsi di tono in un crescendo repentino.
    Un suono di tamburo si espanse nella casa. Quel ritmo incessante s’insinuò nel cervello. Il tempo di stupirsi e due braccia poderose la strattonarono con violenza. Era Dario. Come aveva fatto a entrare? Cercò di ricordare i suoi movimenti. Era sicura di aver chiuso la porta. Un suono lamentoso le uscì dalla gola.
    Dario la trascinò per i capelli sbattendola come un pupazzo in tutti i mobili della casa. Infine la tramortì con una botta alla testa.



    Per Om l’eliminazione di uomini era una crescita orgiastica che le faceva guadagnare meriti e potere nel regno delle streghe. Non c’erano eccessi. Come strega non doveva sopportare la coscienza della morale. Il senso di colpa era un sentimento tutto umano.
    Om era riuscita a manovrare la mente di Dario che per gli uomini aveva ucciso Liana. Il motivo: la gelosia. Egli aveva esasperato quel sentimento ed era esploso. Om rise di gusto entrando con passo leggero nella casa di Liana.
    “Elsa… vai… non guardare.” Dario agitò le braccia per obbligare la figlia a non entrare in casa. Nei suoi occhi sbarrati c’erano la frustrazione e la perplessità. Farfugliò qualcosa nel tentativo di spiegare il motivo che l’aveva indotto a quell’atto finale sconsiderato.
    La figlia sorrise come a dire che quel dramma non la turbava. Puntò i suoi occhi vispi in quelli di Dario, il quale continuava a muovere le palme delle mani per costringerla a non avvicinarsi.
    “Non ti rodere la coscienza. E’ opera mia tutto questo.” Allargò le braccia. “E altro.” Si sedette su una poltrona, accavallò le gambe e gli rivelò la sua vera natura. Gli elencò compiaciuta tutti gli omicidi che aveva commesso e concluse: “Adesso tocca a te.”
    “Ho allevato un mostro.” Una sfumatura di orrore gli storse la bocca.
    Un furore improvviso prese a roteare dentro Om, la quale si librò nell’aria abbandonando le sembianze di Elsa. Finalmente leggera e libera da ogni costrizione materiale, si produsse in mille giravolte. Con violenza si accanì sul corpo di Dario e si sentì appagata quando lo vide stramazzare a terra esanime.

    Missione compiuta!
     
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  2. mpblack
     
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    ehm... stupefacente.... :P
     
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  3. ELIPIOVEX
     
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    già la descrizione del parto farebbe passare la voglia a chiunque di avere un figlio... poi una figliola così!
     
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  4. lion085
     
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    Non male come racconto, anzi devo ammettere che, per un attimo, ho temuto che la realta fosse quella. Peccato per quelle povere vittime indifese.
     
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3 replies since 30/11/2008, 18:45   128 views
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