Zuraar

ex nurial, ex zurjan. Versione definitiva

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  1. FadeMaster
     
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    Ecco qui i 10 capitoli in versione definitiva di Zuraar
    (ex nurial, ex zurjan). Sto chiedendo ai mod di eliminare le mie altre 3 discussioni riferite alle versioni precedenti

    Copertina, mappa e gli altri 9 capitoli nella firma
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    PROLOGO

    Anno 3388, Arco di Aurion, regione dell’Impugnatura.

    Raffiche roventi distorcevano e sfuocavano la sagoma di un nano, solo e veloce tra le basse dune giallo limone.

    Guardava il muoversi incessante dei suoi sandali coperti di sabbia, tant’era affaticato.

    Per terra vide un’ombra e la seguì con lo sguardo voltandosi a destra.

    Una colonna naturale di roccia smussata traforata in più punti dal vento si stagliava contro il sole basso, ma già bianco e forte.

    Un polverone prese a vorticare sul terreno duro attorno ad essa, mentre lunghi fasci obliqui di luce attraversavano i suoi fori.

    Il nano ci si diresse per cercare un po’ d’ombra, strizzando gli occhi.

    Giunse ad appoggiare le mani sulla gialla roccia levigata.

    Alla sua sinistra, per terra, guardando sotto una lama di luce che gli sbarrava lo sguardo, vide un paio di gambe lisce e negre.

    Capì subito che era una giovane umana, così portò la sua mano sinistra alla piccola balestra d’acciaio che portava appesa al fianco, per sicurezza.

    Puntò il suo dardo.

    Non vide alcuna reazione e così si curvò lentamente.

    La giovane restò seduta là con gli occhi chiusi, sull’unico mucchio di sabbia che era vicino all’alta colonna, appoggiata a una sporgenza col suo sacco a pelo arrotolato dietro la schiena.

    Portava tante lunghe treccine che terminavano con delle perle, senza valore per il nano.

    “Non è una dei nostri”.

    Allora le urlò di alzarsi nella lingua di Ruur:

    «Thar! Thar!».

    Nessuna reazione.

    Continuando a puntarla le rubò l’otre che aveva tra le mani.

    Vuoto.

    Lo lanciò via digrignando i denti.

    Guardò l’accumulo di sabbia su cui era seduta e pensò:

    “Questo mucchio qui è fuori posto, troppo isolato: se l’è fatto lei di sicuro, per proteggersi dal freddo di ieri notte. Strano. Forse il sacco a pelo non le bastava?”.

    Le mise una mano su una spalla e la buttò per terra.

    «Fammi vedere che nascondi qui sotto»

    disse, sempre nella sua lingua.

    Mise le mani nella sabbia e rinvenne un borsone grigio.

    Aprì la tasca più grande e scattò in piedi dall’emozione.

    Al suo interno aveva trovato ciò che tutti i suoi compagni ribelli stavano cercando.

    Lo richiuse subito per paura che qualcun altro potesse vederne il contenuto, lì in mezzo al nulla.

    Lei aprì gli occhi piena di dolori e vide il nano incombere su di sé.

    Lentamente si alzò intontita, fissando il dardo.

    Il nano disinnescò il meccanismo della sua balestra e se la rimise al fianco, così lei tirò un sospiro di sollievo.

    Lui si scalciò via la ghiaia da sotto ai sandali, si sgranchì le spalle, piantò le sue gambe possenti sul terreno e la travolse con un pugno alla tempia sinistra.

    Buio.

    Cancellò i suoi ricordi.

    Cancellò il suo nome.

    Dénev.

    Il vigliacco non avrebbe diviso la gloria con nessuno.

    Tornò in marcia sotto al cielo terso, stringendo a sé il malloppo.

    Il pesante borsone a tracolla faceva un rumore di sonagli metallici ad ogni passo.

    Si allontanò di un orizzonte.

    ***

    Si voltò un attimo a controllare che nessuno lo stesse seguendo, ma il lungo sentiero tracciato dalle sue orme svaniva negli effetti ottici sulla linea tremolante dell’orizzonte.

    Impossibile capire se qualcuno fosse sui suoi passi.

    Si grattò la corta barba scura; prese dalla tasca destra dei suoi pantaloncini neri una piccola bussola d’avorio.

    Aspettò il responso dell’ago magnetico e s’incamminò verso nord-est.

    Dopo un altro orizzonte di sofferenza intravide il profilo delle rupi dei ribelli.

    “Acqua a volontà”.

    Un puntino nero spiccava in lontananza al livello del terreno, isolato dal mondo conosciuto, eppure al suo centro.

    ***

    L’entrata era larghissima, ma alta appena due metri, pressappoco rettangolare a causa dell’erosione.

    Entrò a piccoli passi, sfinito, nell’ombra, senza nemmeno la forza di guardarsi attorno.

    Trovò un otre mezzo pieno d’acqua, sopra c’era scritto il nome di uno dei suoi compagni. Si mise seduto per terra a bere piano. Si accasciò sfinito stringendo il suo tesoro.

    “Per andare giù al torrente sotterraneo c’è tempo”

    pensò, mentre le sue gambe gli bruciavano dalla fatica.

    Uno spiffero fresco dal sottosuolo lo fece rinvenire.

    Tornò sotto il sole aprendo la tasca grande del borsone, gonfio d’orgoglio.

    Le schegge metalliche giallastre che la colmavano lanciarono una miriade di riflessi sul soffitto piatto, e sulle sue pupille dilatate.

    Non era oro, ma qualcosa di ben più prezioso.

    “Per questo mi faranno come minimo una statua, quando vinceremo. Torneranno qui entro stasera”.

    Si alzò in piedi già abituandosi a sentire la gente acclamare il suo nome:

    «Kel-den! Kel-den!».

    Dal buio, la sua stessa voce gli rispose: «Kel-den!».

    Preso alla sprovvista, il nano si gonfiò e poi fece una grassa risata il cui eco risuonò anch’esso nella spelonca.

    ***

    Accasciata nel polverone.

    Una voce immaginaria nel buio dei suoi occhi la chiamava.

    «Dénev… Dènev».

    Non la riconobbe.

    ***

    Il nano aprì un’altra tasca del borsone, più piccola, posta sul lato sinistro.

    Ne estrasse una massiccia lente d’ingrandimento quadrata e un libretto impolverato, ancor più importante delle schegge metalliche, per cui tanto aveva esultato.

    Sulla sua copertina ruvida di tela nera c’era una parola dai tratti dorati, magnifici sotto il sole.

    «Amagite».

    La lesse con un filo di voce, fissandola incredulo, ancora un po’ intontito dal caldo. Puntò la lente su una pagina a caso, cercò il giusto orientamento per inquadrare i piccoli caratteri e concentrò troppa luce in un punto sulla carta.

    Un filo di fumo iniziò a spandersi sotto la lente.

    Il nano aspirò forte una boccata d’aria in un gemito di preoccupazione, tolse la lente con la mano sinistra e chiuse il libro con la destra, in un colpo secco.

    Lo schiacciò forte, pregando che nessuna fiamma stesse covando tra i fogli, e lo portò all’ombra.

    Si mise in un alone giallo di luce riflessa e trovò il coraggio di riaprirlo.

    Nessun danno.

    “Stavo per dare tutto alle fiamme”.

    Sollevato, sbuffò via un po’ di tensione ed osservò le illustrazioni tecniche colorate a china delle pagine centrali.

    Spiccavano parole come attrattore di fulmini, metallo liquido e suono che plasma la forma.

    Si mise a leggere.

    Pagina 42.

    A questo punto un fulmine colpirà la vostra incudine: così l’amagite diverrà ardente e sarà plasmabile per poco tempo. Fate in fretta. Nello stampo di metallo potrete dare una prima forma al vostro manufatto usando gli acidi triferàli, seguendo le proporzioni descritte nel capitolo quarto. Ripetete il processo…

    - prese dalla sua borraccia un ultimo sorso, questa volta attento a non bagnare il manoscritto, anziché bruciarlo e per curiosità sbirciò l’ultima pagina -

    … quanto più sarà spesso il vostro manufatto d’amagite, tanto più sarà impenetrabile agli incantesimi.

    Di certo avere uno scudo o una spada con aloni giallo limone non vi darà un’aria spavalda, ma potete starne certi: i maghi smetteranno di usare tutti quei loro termini astrusi e vi porteranno rispetto.

    “Che strano, – pensò grattandosi le labbra – questi ultimi appunti così informali non possono essere stati scritti da un senza mente”.

    Sollevò lo sguardo e per un attimo gli parve di vedere delle treccine nere dietro a una duna.

    Poggiò lente e libro cautamente e mise mano alla sua balestra, con una certa apprensione.

    “Umana, non puoi essere ancora viva”.
     
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